03 aprile 2007

Tra scoiattoli scoreggianti e Sommi sacerdoti e mamma Piero e papà Anna

Quando i laici fanno i mistici
(di Antonio Marino)

Nel Paese dei paradossi e degli
ossimori, probabilmente
non poteva mancare nemmeno
il laicismo mistico. Ed eccolo,
infatti. E’ difficile definire altrimenti
la levata di scudi che ha accolto, in
una parte del mondo politico, la nota
dei vescovi italiani dedicata a Dico
e unioni di fatto, che, secondo un
copione collaudato anche se forse
scarsamente meditato, sarebbe da
interpretare come un episodio di pesante
ingerenza della Chiesa cattolica
in questioni che non la riguardano.
Questa reazione, che interessa
ampia parte (ma non tutti) gli esponenti
del centrosinistra - a partire
dal presidente della Camera - mira a
farsi paladina della laicità dello Stato
(che, ovviamente, nessuno mette
in discussione) ma attraverso strumenti
che sembrano appartenere
più che alla logica razionale a quella
mistica che per sua natura «trascende
i sensi e la ragione», come recita
il vocabolario.
E’ per questo motivo che riesce difficile,
se non si ricorre ad argomentazioni
di evidenza tanto immediata
da sconfinare nella banalità, mostrare
l’inconsistenza dei rilievi mossi alla
gerarchia ecclesiastica.
La prima - banale, appunto - osservazione
da fare è che, malgrado tutti
facciano finta di dimenticarselo, in
Italia nessuno è costretto ad essere
cattolico. Nessuno dunque è costretto
ad ascoltare la voce dei vescovi,
che parlano a tutti, ma in primo
luogo evidentemente ai cattolici,
in questo caso soprattutto a quelli
impegnati nelle istituzioni. Che cosa
significhi "ingerenza" in questo caso
non è facile da capire senza ricorrere
appunto a strumenti interpretativi
extra-razionali, che costruiscono
della laicità una caricatura che ne disattende
gli stessi presupposti.
Ma - si obietta - la voce della Chiesa
non è una voce qualunque, a fare la
differenza nella possibilità di incidere
sulla realtà è la sua autorevolezza.
Vero, ma sarebbe quantomeno bizzarro,
oltre che totalmente irrazionale,
pretendere dai vescovi italiani
che lavorassero a ridurre la loro autorevolezza,
pena il divieto di esprimere
le proprie opinioni, in quanto
troppo autorevoli.
E poi, in cosa mai si sarebbe "ingerita"
la Chiesa richiedendo l’orgogliosa
riaffermazione dell’indipendenza
dello Stato italiano? Nel meccanismo
della legge elettorale? In delicate
questioni di politica estera? Nella
definizione dell’età pensionabile?
No, in questioni che riguardano direttamente
la dimensione etica, la
vita, la famiglia. E lo fanno, i vescovi,
precisando: «Non abbiamo interessi
politici da affermare; solo sentiamo
il dovere di dare il nostro contributo
al bene comune…». In questo Paese
si accetta a braccia aperte il contributo
di tutti, anzi si apre immediatamente
un tavolo, ma se questo viene
da uomini che hanno una qualche
dimestichezza con l’etica e i valori,
non c’è prudenza che tenga: è
"ingerenza".
Ed ecco che con spericolate analogie
da talk show si dissotterra il "sillabo",
quando non si va più lontano
risalendo i secoli per trovare la mano
pesante di prelati dal volto arcigno.
E la "nota" che c’entra in tutto
questo? Nulla. Parla a chi vuole
ascoltarla, ai cattolici richiama concetti
che dovrebbero essere loro
ben familiari. E a quei cattolici che
non volessero adeguarsi non minaccia
il rogo, né la scomunica, limitandosi
sommessamente a richiamarli
alla coerenza fra ciò che si crede e
ciò che si fa. Virtù che nemmeno ai
laici più arrabbiati dovrebbe essere
del tutto sconosciuta.
(Provincia di Lecco, venerdì 30 marzo 2007)

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