03 settembre 2005

Racconto di un’estete (la mia)

a lB, che mi ha spinto a scrive
e per questo ringrazio



“Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla”.
Io l’avevo una ... buona storia.
Io sono la mia buona storia.
Pazzesca, a ben pensarci, ma bella... E oggi, seduto qui, te la regalo:


Questa, è la storia di colline, tante, e di mare, poco, ...è la storia di caffè, buoni, e di yogurt, ai cereali, ...è la storia di cuscini, animati, e di maglie, patriottiche, ...ma soprattutto è la storia di sette, poi nove, poi ancora sette, di nuovo nove, perfino dieci, quindi cinque... ed infine due _amici_ che vissero un’estate davvero come mai prima.
Non siamo al Touring Club, quindi scordatevi minuziosi dettagli geografici o patetici consigli eno-gastronomici.
Siam qui per parlare di persone, di sguardi, di sorrisi, di parole dette e di parole non.
Siam qui per parlare di quella strana locanda sulla riva di una collina dalle mille sorelle gemelle e dei suoi ospiti.

Tonino, così si faceva chiamare l’elfo dalle mille risorse. Roba da non crederci, coltivava mezzo Abruzzo a giudicare dalla quantità di pomodori che smerciava. Olio, peperoncino, angurie kamikaze che si lanciavano da sole nei precipizi, uova (di cui non si è mai capita la pianta di provenienza), cetrioli, salamini di cinghiale che improvvisamente diventarono di scrofa (e poi vengono a parlarci di mutazione genetica...). Eccezionale la presentazione della macchina da lui costruita per preparare gli arrosticini!
Non mi toglierò mai dalla testa l’idea che il sale lo estraesse lui dall’acqua di mare!
Si, ridiamoci pure sopra intanto... non fosse stato per lui il primo giorno non avremmo mangiato un cazzo!
Poi c’era Nora, Dora, Ada, Bora, ... non si è mai capito come si chiamasse veramente quella gentile signora che ci accolse al nostro arrivo e venne a salutarci alla partenza.
Nei sette giorni in mezzo... sparita. Mai vista una volta. Dicono fosse a Penne, una metropoli indicata perfino sui cartelli in tangenziale est a Milano. Dicono. Probabilmente invece era in missione nella piantagione intenta a dissuadere le angurie da quel loro tragico destino.
Infine troviamo Max e Max. Uno era il cane, l’altro il figlio. Il più sveglio dei due? Difficile dirlo. Difficile anche dire cosa abbia spinto un uomo a chiamare un cane come il proprio figlio, o viceversa. Ironia della sorte, entrambi i Max non erano soli: il primo aveva un compagno di nome Nico, il secondo una vichinga dal nome non ben definito.
Arrivava dalla Germania. Non Nico, la vichinga. Dalla Germania... con una Punto.
Ma dico, sei tedesca e compri una Punto? Cos’è, era andato in ferie un neurone e l’altro, da solo, non ha saputo fare di meglio? ... una Punto. Roba da matti.
La locanda era niente di più, niente di meno, di quello che puoi aspettarti da un’Agri-Pensione. Fantastico: pure la categoria commerciale s’erano inventati!
Una casetta con quattro appartamenti, due per ‘a famigghia e due per i naufraghi di passaggio: noi.
C’erano sette letti, sette sedie, sette piatti, sette bicchieri, sette tazzine, ... ma cazzo solo il bagno doveva essere UNO??? ... Biancaneve di merda!
Un perfetto incrocio tra la casa della nonna e la villetta di un film horror dove, alla fine, tutti i protagonisti muoiono. Semplice e tranquilla di giorno, inquietante e sinistra di notte. Specie dopo il ritrovamento di un armadio zeppo di vestiti quanto meno particolari e di un cassetto... meglio lasciar perdere.
Cercavamo tranquillità e riposo. Li abbiamo trovati. Cosa si poteva desiderare di più? Un secondo bagno? Un videoregistratore? Non so... sta di fatto che lì, nella nostra locanda si stava proprio bene.
Chiudendo gli occhi mi sembra ancora di vedere le lunghe partite a carte, la sera, sulla terrazza. Le profumate ore passate a gelare sotto un piumone nonostante fossimo in pieno agosto e le colazioni accecati per il troppo sole. I caffè dopo cena e i rosari a notte fonda. Le chiacchierate e i massaggi alla schiena. I solitari col Pyramid e le infinite domande: “cosa facciamo domani?”. E poi il giallo. C’era un sacco di giallo, soprattutto là, dove finiva l’universo.
Gran bella terrazza. Si, gran bella terrazza.

Le nostre fotografie digitali , che mi piace comunque pensare un giorno ingialliranno, raccontano di mare e spiaggia, di pinne e di panini non molto light, narrano di grandi Sassi e di imperiali Campi colmi di cavallette, descrivono pareti d’arrampicata e paesini d’altri tempi.
Le nostre foto.
Ma noi...
Noi cosa racconteremo di quell’estate? Cosa racconteremo, tra qualche anno, davanti ad una granita al tamarindo seduti al chioschetto sul lungolago?
Racconteremo di aver tirato le cinque di mattina parlando di progetti e fiducia.
Racconteremo di aver passato un giorno intero a dire di dover fare la spesa senza farla.
Racconteremo di un cuore che sorride, il nostro, ripensando a quella casa fuori Roma in cui due amici, prima ancora dei mobili, hanno messo l’accoglienza.
Racconteremo di esserci svegliati di notte, grazie ad una bruschetta piantata nello stomaco, e di aver giocato a scala quaranta con la Michy e Paolo che ruttavano per le caramelle effervescenti!
...Che buona però la coppetta ai frutti di bosco(ndA).
LE coppette...(ndr).

Sorrido, all’idea di quando racconterò che abbiamo giocato a rialzo per i giardini a L’Aquila, a Roma, e con qualcuno anche prima, (durante) e dopo la Messa all’ospedale...
Sorrido, rivedendoci con quei gilet argentati e gli occhiali da sole, con il papillon in tinta e le due Michy in abito “da sera”...
Sorrido, rivedendo i sorrisi di sette, poi nove, poi ancora sette, di nuovo nove, perfino dieci, quindi cinque... ed infine due _amici_ che vissero un’estate davvero come mai prima...

Questo è il racconto di quell’estate. La mia. La Nostra.

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